L’olmo
Giace per terra inerme, ormai sconfitto,
il corpo forte steso senza vita
come dormisse, stanco della gente,
del frastuono del traffico, incessante.
L’abito verde che gli veste ancora
le braccia forti, aperte sul selciato.
Cessato un poco l’acuto urlo del ferro,
lo circonda l’umana indifferenza,
che lo ha abbattuto senza aver capito
cosa stava uccidendo, chiamandolo lavoro,
stretta nel pugno ancora l’arma nuova
che gli ha negato anche l’onore della lotta.
Poi la lama riprende il suo ruotare,
morde le spoglie, recide i rami scuri,
sparge candide schegge e verdi foglie
come macchia di sangue tutto attorno,
ma non è sangue rosso e non trasmette
il senso orrendo e crudele della morte.
Lui, l’olmo, viveva e dava ombra,
ombra e bellezza e ripuliva l’aria,
non è morto per bruciare in un camino,
per donarci calore, darci vita,
non è morto per regalarci un tetto,
ma dava noia a uno stupido muretto.
Confitte ancora a terra le radici
reggono il disco bianco, con gli anelli
infiniti della vita dell’olmo ormai stroncata.
Resterà un muro, utile agli sgorbi
di gente che non sa perché li traccia
e non saprà che lì viveva un olmo.
Una vita che ha visto assai più cose
di quante ne vedrà chi lo ha abbattuto,
di chi cercherà invano la sua ombra,
di chi ne avrà il ricordo e nostalgia,
di quante ne vedrà chi ha fatto il muro,
e di chi lo imbratterà con il suo nulla.
18 novembre 2021