XLIII^
23/9/2015

Da un’infinità di tempo, almeno così mi sembra, la televisione mi inonda di servizi su tre o quattro argomenti: il papa, la Merkel, la Grecia e i migranti. A debita distanza seguono Renzi e le beghe interne alla premiata ditta PD…

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Da un’infinità di tempo, almeno così mi sembra, la televisione mi inonda di servizi su tre o quattro argomenti: il papa, la Merkel, la Grecia e i migranti. A debita distanza seguono Renzi e le beghe interne alla premiata ditta PD, poi varie ed eventuali. Ora, il papa viaggia, esorta ad amare, ad accogliere, si dice addolorato per come vanno le cose, dice che la chiesa deve essere povera e quindi si schianta contro i suoi dipendenti. La Merkel fa quel che può, dibattuta tra essere una preside inflessibile, una donna comprensiva, una guida illuminata, una buffa signora, forse con le idee chiare su cosa dovrebbe essere l’Europa. La Grecia si limita a essere il paese simbolo dei paesi mediterranei, e ci riesce benissimo. E’ come un archivio di tutto ciò che di meno adatto alla modernità hanno partorito tutti i paesi che affacciano su questo cimitero liquido. Ma in realtà I’argomento principe nei miei pensieri è quello dei migranti: sui migranti non sento mai dire nulla che non sia genericamente compassionevole, strumentale, intriso di paura o, peggio, d’indifferenza.

E a me sembra che si trascuri, non so se per cecità o per disinteresse, quello che ai miei occhi è l’aspetto più tragico di questo fenomeno. La televisione mi presenta persone che arrivano dagli angoli più massacrati del mondo “altro” dal nostro. Intervistati parlano, un po’ in italiano, un po’ in inglese, in francese, raccontano di viaggi interminabili, tragici viaggi che farebbero impallidire quel signore che ha raggiunto il Polo Nord trainando da sé la slitta, o il navigatore che ha attraversato a remi l’Atlantico. Persone che hanno ereditato qualche rimasuglio della lingua dei paesi che, come è noto, nei secoli scorsi nelle loro terre costruivano il loro attuale malessere. La cosa che mi fa davvero paura, che mi sembra davvero ancora più agghiacciante di questo esodo biblico, è il vuoto che esso lascia dietro di sé. Le persone che arrivano qui sono quelle più coraggiose, più intraprendenti, più scolarizzate, più forti e disposte a scommettere sulla propria capacità di farcela, comunque, ovunque. Sono anche quelli che erano meno poveri, nei loro paesi: i due o tremila euro che costa intraprendere quella terribile avventura sono, nei loro paesi d’origine, delle piccole fortune. E la domanda è: chi è rimasto, chi non ha potuto partire, quand’anche finissero domattina le guerre, che speranza ha? Che speranza hanno quei paesi, decapitati, privati della parte più preparata, più istruita, più capace e moderna mentalmente? Cosa pensiamo di fare noi, paesi ricchi ed evoluti, di e per quei luoghi cosparsi di poveri infelici orfani della gioventù più agguerrita, maggiormente in grado di affrontare un futuro collettivo tutto da ricostruire? Non si risponda, con Salvini & C., “Aiutiamoli a casa sua…”, magari inventando una versione 2.0 delle colonie. E’ un problema più che serio spaventoso, del quale può e deve farsi carico tutto il nostro mondo, insieme, una volta tanto senza pretendere di esportare la democrazia a cannonate e senza secondi fini. Semplicemente perché non esiste alternativa praticabile senza conseguenze paragonabili a un nuovo diluvio universale. Circostanza nella quale, come è noto, si bagnarono i piedi tutti.