Bene, siamo tutti felici che le due ragazze siano state liberate e che siano già a casa loro, stanche, frastornate, comprensibilmente commosse e prese a microfonate in faccia dai solerti cronisti italici…
continuaBene, siamo tutti felici che le due ragazze siano state liberate e che siano già a casa loro, stanche, frastornate, comprensibilmente commosse e prese a microfonate in faccia dai solerti cronisti italici. Siamo stati ampiamente informati di come le due giovani siano state interrogate dai P.M. che indagano su una ipotesi di rapimento con fini terroristici e ricattatori. Forse le parole non sono esattamente queste, ma il senso sì, e quanto a senso a me paiono prive di senso, ma io notoriamente non faccio testo. Pongo spesso domande, lo so ma non posso farne a meno. Le domande sorgono di fronte a cose che non riesco a capire, delle quali non riesco a comprendere il motivo. Nel caso delle due volontarie liberate mi sono chiesto sbigottito che fine avessero fatto la professionalità, il buon senso, il buon gusto persino, per non parlare dell’elementare educazione, del giornalismo italiano. A partire dall’annuncio della “forse” liberazione, carta e schermi sono stati invasi dalla ormai consueta valanga di “pare”, “sembra”, “corre voce”; nessuna notizia vera, ma piuttosto una manifesta paura di arrivare tardi sulla notizia. Un profluvio di parole per raccontare cose che, non essendo ancora avvenute, o confermate, servono solo a riempire un vuoto e a creare un’attesa. Poi finalmente il fatto accade, le ragazze sono state liberate, è cosa certa. Allora si scatena la ridda delle ipotesi sul mezzo di trasporto con il quale verranno rimpatriate, con il quale verranno portate alle loro case. Assodato anche questo importantissimo particolare si passa al fondamentale quesito: è stato forse pagato un riscatto? Forse no, e allora sono dei rapitori incongrui, visto che le avrebbero mantenute cinque mesi così, per senso dell’ospitalità; o forse sì, visto che di solito è in questo modo che quei birichini finanziano le loro marachelle. La terza ipotesi è quella dello scambio: io ti dò due ragazzine e tu ci dai indietro Mustafà o Alì. Sull’argomento si scatena la solita bagarre: sull’importo del riscatto, sull’opportunità o meno di pagarlo, con gli organi d’informazione che si sfidano a singolar tenzone su chi la ipotizza più grossa: uno urla “12 milioni di euro”, l’altro dice che no, non è vero perché mi pare troppo; il primo ribatte virilmente con la necessità di spedire le poverette ai lavori forzati, al fine di risarcire “gli italiani” della spesa causata dalla loro imprudenza. I soldi finanziano i terroristi? Senza dubbio, ma forse bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che si tratta di quella che in gergo amministrativo viene definita “partita di giro”: io ti pago il riscatto e tu con quei soldi compri le mie armi, la mia tecnologia e via dicendo. C’è qualcuno che onestamente può giurare che tra Occidente Cristiano e Mondo Islamico le cose non stanno così? Imprudenza? Cercare di fare del bene, fare dell’assistenza, offrirsi di aiutare chi soffre: è questa l’imprudenza? Viva gli imprudenti! Costa dei soldi riportare a casa chi incappa in incidenti di percorso che nessun brillante titolista, o opinionista televisivo o cartaceo, si sogna di affrontare? Pazienza, consideriamolo uno dei tanti Telethon e, anche se meno gratificante da un punto di vista spettacolare e autoassolutorio, rassegniamoci: è il nostro contributo al prezioso e inevitabilmente rischioso lavoro che il volontariato svolge in quei paesi. Per salvare la faccia della nostra società satolla ed egoista, tra le altre ragioni.Tornando al rientro delle due fanciulle alle rispettive abitazioni: che genere di giornalismo è quello che le affoga in una valanga di microfoni, telecamere e domande assolutamente cretine e prive di obbiettiva rilevanza di significato, che non sia quella della più totale mancanza di rispetto umano, delicatezza, capacità di comprendere? Lasciare in pace quelle ragazze sarebbe comportamento civile e rispettoso: strappare a una persona appena liberata l’ammissione che è contenta di essere a casa è impresa giornalistica eroica, quasi quanto quella di chiedere a una zia se è contenta che la nipote sia tornata a casa tutta intera. Spero solo che nessuna delle due si lasci convincere a rilasciare qualche intervista in esclusiva, magari per sfinimento.