Natale: non c’è nulla da fare, arriva! Fingo di dimenticarmene, mi sforzo, ma è inutile, anche quest’anno mi tocca farmi male. Sono comparsi tutti in blocco: camerieri nei bar, distributori di volantini …
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Natale: non c’è nulla da fare, arriva! Fingo di dimenticarmene, mi sforzo, ma è inutile, anche quest’anno mi tocca farmi male. Sono comparsi tutti in blocco: camerieri nei bar, distributori di volantini pubblicitari, commessi di negozi e supermercati, mendicanti con una sola gamba, tutti impietosamente, crudelmente, offensivamente costretti a vestirsi da Babbo Natale. Natale: c’è stato un periodo della mia vita in cui lo attendevo con ansia, ma era un tempo in cui i mandarini arrivavano sulla tavola solo in quei giorni, erano un lusso, come i piccoli torroncini o i cioccolatini; un tempo nel quale aveva un senso scrivere letterine a Babbo Natale, anche se era messo male pure lui e aveva già i suoi problemi a dar da mangiare alle renne. I frutti e i piccoli dolci servivano per gli addobbi, insieme alle poche, preziose palline di vetro colorate venivano appesi all’abete, vero, che poi veniva ripiantato dietro la casa. Non sto facendo la lagnanza di chi borbotta sognante -ai miei tempi…-, anche perché mi diventerei subito antipatico, e invece cerco di volermi bene, almeno un poco. No: sto solo dicendo che allora c’era qualcosa da desiderare veramente, qualcosa che, forse, ma proprio forse, sarebbe arrivato solo a Natale, solo se eri stato buono e se i grandi ce la facevano, a soddisfare quel desiderio. Perché eravamo in massima parte molto più poveri. Non che manchino i poveri veri, oggi, così come anche allora non mancava chi era costretto alla fila per un piatto caldo o un letto. Semplicemente anche noi, che in realtà poveri in senso stretto non eravamo di certo, non avevamo tutto, non ci sognavamo neppure che si potesse pretendere di volere subito un giocattolo nuovo, la soddisfazione immediata di un desiderio, anche se da poco. Ieri, davanti a “La città del sole” di corso Lodi, c’era un piccolo di sei o sette anni che si era piantato con il naso contro la vetrina e frignava lamentosamente, e senza lacrime, perché voleva non so quale giocattolo esposto. La nonna, ben più giovane di me, vuoi perché i dieci euro quel giorno li aveva, o più verosimilmente perché non ne poteva più di sentire il pupo frignare (e lui lo sapeva benissimo), è entrata nel negozio trascinandoselo dietro per mano. Insomma: compra, paga, lui smette di fare versi, lei torna a guardare le vetrine che le interessano. Il problema che quel piccolo, e con lui gli adulti che compongono il suo mondo, non sappia più cosa significhi desiderare una cosa, sperare di averla un giorno, aspettarla, doverla meritare, unito alla presenza intorno a noi di un numero crescente di veri poveri, è una delle ragioni che con gli anni mi ha reso fastidioso l’arrivo delle cosiddette Feste. Non c’è più nulla di magico da immaginare, nulla di veramente intimo da festeggiare, nulla che si aspetti da tempo come un premio. I mandarini sono sui banchi dei supermercati e dei fruttivendoli sei o sette mesi l’anno, i giocattoli, costosi o meno costosi, sono una cosa che periodicamente le persone regalano solo perché i loro frugoletti non sanno più che cosa farsene e perché sono un’occasione per sentirsi buoni e generosi. Facendo così spazio ai nuovi che arriveranno per Natale. Con i soliti dialoghi che accompagnano la preparazione dei pacchetti, nei giorni precedenti il “lieto evento”, -Carlo, ci siamo dimenticati Carlo. Cosa?…No, glielo abbiamo regalato già lo scorso anno, non se ne può più, ma con quest’anno…chiuso, basta con i regali!..-. Come ogni anno. So di non dire nulla di nuovo, ma davvero mi riesce sempre più difficile affrontare serenamente questi giorni che trasformano la città in un supermercato del superfluo. C’è poi l’aggravante di un momento storico che moltiplica esponenzialmente la frustrazione dei molti colpiti dalla crisi, e lo sfoggio di ricchezza da parte di chi questa crisi l’ha provocata e di chi ne ha tratto beneficio. La mia compagna ed io abbiamo accompagnato un’amica con i suoi piccoli in visita ai nuovi quartieri sorti vicino a Porta Garibaldi, qui a Milano. Le banche che lesinano o rifiutano soldi alle piccole aziende in crisi, al sistema produttivo in generale, gli amministratori pubblici che ci hanno condotti a questo punto, erigono a se stessi verso il cielo monumenti che costano somme astronomiche, sotto forma di grattacieli e strutture avveniristiche che proiettano la loro ombra insultante sul popolino che si aggira, incantato e naso all’aria, tra le bancarelle del mercatino natalizio allestito per l’occasione tra i loro piedi di cristallo e d’acciaio. Sono incolpevolmente belli, i grattacieli. Andremo a passare il Natale da dei nostri cari amici friulani, che per fortuna ancora credono che questa sia un’occasione per stare un poco insieme, senza clamore e luci stonate.