In questi giorni d’estate, balordi persino nel clima, tocca assistere impotenti a un’altra puntata di quell’orrendo sequel grondante sangue che è la lotta infinita tra Israele e i Palestinesi.
continuaIn questi giorni d’estate, balordi persino nel clima, tocca assistere impotenti a un’altra puntata di quell’orrendo sequel grondante sangue che è la lotta infinita tra Israele e i Palestinesi.
E già qui c’è da riflettere seriamente su un particolare di non poco conto: la guerra non è tra uno stato e un altro stato, no: è tra uno stato e un popolo.
Ora, fino al 1948, Israele esisteva solo nella testa di Ben Gurion e dei suoi compagni d’avventura, fin dall’inizio del 1900.
Gli inglesi prima, e l’ONU dopo, si sono incaricati di favorire la trasformazione del sogno nazional-religioso del Sionismo in una realtà geopolitica.
Peccato che in Palestina ci fossero già i palestinesi, ai quali è stata riservata semplicemente la sorte che già avevano subito i nativi americani: confinati nelle riserve e senza protestare, che se no arrivano le Giacche Blu, in versione mimetica.
Se invece la protesta si fa violenta l’esempio diventa ancora più calzante: Colt, Winchester e cannoni contro archi e frecce.
A fornire le armi ai nuovi coloni ci pensano gli eredi del generale Custer.
Gli stessi che, insieme ai francesi, hanno poi provveduto a fornire tecnologia e mezzi perché Israele diventasse la potenza militare che è oggi.
Va detto anche che la spada di Davide, nei secoli, ha lavorato parecchio: persino il fumoso diritto a definire quei territori Terra Promessa deriva dal gran lavoro di quella spada.
Gli ebrei hanno subito torti atroci e indicibili da tutta l’Europa, Madre Russia per prima, che da lì partirono per la Palestina i padri del Sionismo.
Nessuno può onestamente continuare a negare l’orrida realtà dell’Olocausto.
Nessuno può, altrettanto onestamente, negare oggi gli enormi torti e le prevaricazioni di Israele nei confronti dei palestinesi, così come nessuno può negare quanta parte abbia avuto il terrorismo sionista nella creazione dello stato di Israele, lo stesso tipo di terrorismo di cui oggi Israele è vittima a sua volta.
L’esito dei vari conflitti arabo-palestinesi ha ampiamente dimostrato quanto sia in realtà modesto il rischio che Israele corre, nel confronto muscolare con i suoi vicini: basta mettere sui due piatti della bilancia la conta dei morti per rendersene conto, metodo infallibile e inconfutabile ancora oggi.
La parola vendetta è parola alla quale il Sionismo è troppo affezionato.
E se Israele si decidesse a favorire, oltre che permettere, la nascita di una Palestina libera e territorialmente coesa, facente parte a pieno titolo della comunità internazionale, così che sia lo stesso popolo palestinese a volersi liberare degli estremisti di Hamas?
D’altro canto ditemi chi, se non un disperato inferocito che non crede più in un futuro per sé e per la propria gente, vorrebbe far saltare una centrale nucleare a neppure cento chilometri da casa sua?
Chi, avendo un futuro degno di essere vissuto davanti a sé, permetterebbe al vicino di casa di mettere a repentaglio questo futuro?
Chi, infine, ha il diritto di terrorizzare il proprio popolo con il ricordo di un passato atroce, al punto di fargli accettare l’idea che la sua sicurezza dipenda dalla sopraffazione fisica e morale di un altro popolo?