che piega uomini e cose
per questa frenesia
di passi sull’asfalto
le vetrine offensive
la povertà nascosta
quasi fosse vergogna
pigrizia o falsità
e per quest’aria greve
che mi graffia i polmoni
per le auto che assalgono
le aiuole e i marciapiedi
per i bimbi costretti
in giochi disumani
per i cani che aspettano
il verde per passare
per i vecchi che ti amano
perché non sanno altro
per i vecchi immigrati
che ti credono New York
e per i loro figli
tra il pianto e la violenza
e per i figli miei
che nascer non farò
e il mito delle fabbriche
e dei colletti bianchi
per il sugo di sporco
che sudan le tue pietre
impasto di fatica e di credulità
monumento imbecille
all’inutilità
per quel sole che a volte
arroventa il selciato
spara le ombre per terra
a noi che non le abbiamo
ci incolla alle camicie
ci fa credere che
questo tirare avanti
sia tutto quel che c’è
è più onesta la nebbia
che aggiunge grigio al grigio
la pioggia che ci impasta
alle foglie marcite
quel qualcosa che abbraccia
noi stessi alla città
e confonde la nostra
alla sua mediocrità.