Il gennaio scorso ho visto il mondo occidentale, magari non proprio tutto, ma in massima parte sì, fare proprio lo slogan -je suis Charlie-. Personalmente spiegai in una di queste Bottiglie perché, pur addolorato per la barbarie dell’accaduto, e condannandolo radicalmente, non sentivo il dovere….
continuaIl gennaio scorso ho visto il mondo occidentale, magari non proprio tutto, ma in massima parte sì, fare proprio lo slogan -je suis Charlie-. Personalmente spiegai in una di queste Bottiglie perché, pur addolorato per la barbarie dell’accaduto, e condannandolo radicalmente, non sentivo il dovere, né capivo l’utilità, di “sentirmi Charlie”. Non ero Charlie perché la strage veniva forzosamente letta come un attacco alla libertà di stampa, e secondo me la libertà di stampa non era la vittima di quell’attentato. Le vittime erano degli uomini, non una testata giornalistica. Ora dovrei dirmi francese, e lo farei volentieri, con tutto il cuore, perché ci piacciono i pochi francesi che conosciamo, perché amiamo Parigi e ci andiamo ogni volta che ci è possibile. Lo farei, lo avrei fatto perché viene spontaneo farlo, tanto feroce e priva di senso appare questa immane tragedia. Lo farei se facendolo non mi trovassi a schierarmi acriticamente con lo stato francese e i suoi governanti, riconoscendo loro quindi il diritto di ricorrere alle armi ogni volta che qualcosa lede gli interessi della Francia, ovunque ciò accada. Lo farei se il presidente Hollande non avesse fatto per prima cosa decollare gli aerei, e solo a bombe sganciate non fosse venuto a dirci che l’attacco criminale è all’Europa, non alla Francia, e che l’Europa deve quindi reagire compatta. Ha ragione, ma bisogna allora che la Francia si consulti con gli altri paesi europei prima di andare a bombardare un posto, nel quale tra l’altro i militanti dell’Isis non sono certo rimasti ad aspettare un attacco strombazzato ai quattro venti. Eravamo a Parigi, abbastanza vicini a Boulevard Voltaire, cenavamo in casa, mia moglie ha sentito quelli che le sono sembrati fuochi artificiali in lontananza: in casa non c’era un televisore. Abbiamo ascoltato sirene andare e venire nella notte, mentre France Bleu ci raccontava la verità, la conta delle vittime, i luoghi colpiti. La consapevolezza di essere dei miracolati ci ha annichilito, ci siamo sentiti davvero parte di un popolo colpito, il popolo europeo. Ed è un dolore vero, che ci fa sentire il desiderio sincero di abbracciare tutte le famiglie così orrendamente mutilate, tutti quei poveri corpi. Loro sì, non una bandiera, di qualsiasi colore essa sia. Prima o poi l’Occidente dovrà fare un serio esame di coscienza, altrimenti non capiremo mai come sia possibile che si possano tanto facilmente convincere dei giovani a trasformarsi in macellai suicidi in nome di un dio che, se mai esistesse, li incenerirebbe. Il terrorismo è cieco, non bada al colore della pelle di chi uccide, penso nemmeno al suo credo, politico o religioso che sia, preso com’è a perseguire il suo scopo primo e ultimo, il suo vero fine: uccidere, morire. Il 14 sera eravamo sul treno che ci riportava in Italia e, poco prima che arrivassimo a Modane, è comparsa una pattuglia di tre poliziotti francesi. Si sono guardati attorno, sono andati dagli unici due passeggeri di pelle nera, per un quarto d’ora li hanno controllati, prima uno e poi l’altro, li hanno interrogati, hanno guardato i loro bagagli, telefonato per verificare i loro documenti. Poi se ne sono andati ignorando tutti gli altri viaggiatori. A Modane è entrata nel vagone un’altra pattuglia, questa volta di agenti della dogana francese, in borghese e con la scritta Douane sulla maglietta. La scenetta si è ripetuta assolutamente identica, ancora più puntigliosa. Ho detto loro che i loro colleghi avevano già provveduto. Il più grosso dei tre mi ha mostrato la scritta sulla maglietta, chiedendomi se sapevo cos’era successo a Parigi, gli ho risposto di sì, che eravamo giusto lì, la sera prima. Senza riflettere ho anche detto che il più famoso tagliagole dell’Isis era bianco, come me, lui e il resto dei passeggeri. Ha finito di controllare minuziosamente il secondo nero e il suo bagaglio, facendoglielo aprire sulla piattaforma d’accesso del vagone. E quindi è tornato da questo pericoloso settantasettenne e da sua moglie: documenti, destinazione e bagagli, indirizzo e durata del soggiorno a Parigi, motivo della visita e altre curiosità. Poi se n’è andato con le sue colleghe, senza che potessi spiegargli quanto amiamo Parigi, e quanto sia sbagliato piangere solo per Parigi.