XLII^
12/9/2015

A Milano, com’è più che noto, da qualche mese è in corso l’EXPO. Credo di aver già detto che non ho intenzione di andare a versare il mio obolo alla cassa: preferisco passarlo ratealmente e direttamente ai molti affamati …

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A Milano, com’è più che noto, da qualche mese è in corso l’EXPO. Credo di aver già detto che non ho intenzione di andare a versare il mio obolo alla cassa: preferisco passarlo ratealmente e direttamente ai molti affamati che incontro quotidianamente per strada. Diciamo allora che ne parlo per sentito dire, attraverso la narrazione di chi ci è andato. Di ciò che ne leggo sui giornali confesso che non mi fido gran che: c’è in giro una sorta di paura a non dirsene entusiasti, ho notato che i pro e i contro sulla stampa sono più che altro pro o contro il governo, e secondo me questo non c’entra molto. Premetto che spero davvero che ci siano stati fruttuosi incontri e convegni nel corso dei quali si sarà parlato e discusso dell’oggetto della manifestazione: nutrire il pianeta. Quel che so per certo è che i ristoranti di ogni sorta di paese presente hanno fatto registrare il tutto esaurito, e che il resoconto di tutte le persone di mia conoscenza dichiara un indice di gradimento dell’esperienza gastronomica prossimo alle stelle. Pare siano apprezzate anche un buon numero delle costruzioni erette in rappresentanza delle varie nazioni. Sull’Albero della Vita, manufatto bresciano molto simile al fulcro di quelle giostre che da queste parti vengono volgarmente dette “Calci in culo”, pare che si registri essenzialmente l’entusiasmo dei bimbi e dei nonni. Scarse invece, se non inesistenti, le notizie sulla parte meno godereccia e quindi più seria di questa grande fiera internazionale: spero, voglio sperare, che a festa conclusa siano dati alle stampe e resi facilmente accessibili gli Atti dei lavori svolti, quelli seri. Anche per poter finalmente ammettere che mi sono sbagliato nel giudicare negativamente questo faraonico giro di soldi che, tra entrate e uscite, farebbe venire un infarto anche a zio Paperone. Sono curioso, tra le altre cose, di vedere, a giochi finiti, che sarà di quelle aree e di quelle costruzioni. Così, tanto per scoprire con sollievo che non ci saranno più motivi per arresti, indagini e via dicendo. Intanto l’Italia e l’Europa si stanno ingarbugliando in una assurda distinzione su chi ha il diritto o meno di scappare da una vita che vita non è. Su chi, di questa massa magmatica e infelice che solca il pianeta risalendolo verso nord, disseminando le varie rotte con una lunga scia di morti, il diritto alla nostra solidarietà, amicizia, invece non ce l’ha. Ci si avventura in insostenibili distinguo: chi scappa da una morte sotto le bombe e la guerra va accolto, chi scappa da una vita miseranda, sfruttata, senza speranza di riscatto, che nessuno di noi definirebbe vita, bè, questo va messo su un aereo e riconsegnato all’esistenza dalla quale cerca disperatamente di fuggire. Se venissimo condannati a vivere una vita di quel genere noi non la chiameremmo morte?

Ecco, se le strutture dell’EXPO a giochi finiti venissero dagli stessi paesi che vi hanno partecipato consacrate a un forum permanente sull’accoglienza, allo studio delle possibili soluzioni di quello che non è un incidente di percorso nello scorrere delle nostre vite abbastanza garantite, bensì un evento planetario paragonabile alla scomparsa dei dinosauri, alla sparizione di Atlantide, alla comparsa stessa dell’uomo, partito dall’Africa a popolare il mondo, ecco, troverei questo una cosa degna di un vecchio e saggio Occidente, diventato ricco depredando i luoghi dai quali queste genti ora fuggono.