Ho l’abitudine, penso comune ai più, di guardare la posta prima di spegnere il computer e andarmene a nanna. L’ultima email ricevuta ieri sera era di un’amica: mi rimproverava…
continuaHo l’abitudine, penso comune ai più, di guardare la posta prima di spegnere il computer e andarmene a nanna. L’ultima email ricevuta ieri sera era di un’amica: mi rimproverava perché pare che dal 23 di luglio io non abbia più gettato bottiglie in mare. Così mi sono dovuto interrogare sui motivi che mi hanno tenuto lontano da una pratica che, solitamente, mi fa star meglio, mi alleggerisce, mi illude di essere utile, diciamo. Una delle poche regole che seguo nello scrivere è quella di farlo solo quando sento di “dover” dire qualche cosa, e quindi di non scrivere perché qualcuno si aspetta che io scriva, qualcuno me compreso. Quando non è qualcosa di personale, che però può essere comune a molti, è qualche fatto di cronaca, una notizia riportata da un giornale, dalla televisione. So che questa rubrichetta non raggiunge certo un numero di persone tale da giustificare la definizione di “pubblico”, però ho la presunzione che una riflessione condivisa, anche se tra poche persone, possa in qualche modo essere utile sia a me sia a loro. Ma torniamo al mio silenzio. Quali sono gli argomenti non personali toccati dalle mie bottiglie? La pochezza deludente della politica nazionale, naturalmente, poi l’immigrazione e la quantità impressionante di lutti che l’accompagnano, la protervia becera e ignorante dei vari Salvini e lo squallore dei molti che si nascondono dietro la sua violenza arrogante; a seguire le guerre, le mille guerre delle quali non si sa bene chi siano i mandanti, i finanziatori, quali gli interessi che proteggono e quali i reali obbiettivi. Per non parlare poi di chi materialmente fornisce a quelle genti quanto materialmente serve per scannarsi: auto, camion, cannoni, lanciarazzi, esplosivi, e via dicendo. L’eventuale crudeltà gli interessati ce la mettono in proprio. E io non scrivo nulla dal 23 luglio scorso per la semplice ragione che non so più che cosa dire. Potrei aggiornare la conta dei morti, quella delle vergognose sparate di Salvini, anche quella della sterile, verbosa e stizzosa rissa interna alla sinistra italiana o dell’altrettanto sterile verbosità virtuosa dei pentastellati.
Potrei, ma a parte l’aggiornamento matematico del numero dei morti e delle date, credo di aver già detto e scritto tutto quello che un cronista normalmente informato e dotato di buon senso e carità cristiana (sì, la carità cristiana che anche un agnostico convinto come me cerca di praticare) può dire e scrivere su questi argomenti. Semplicemente ho dato una scorsa a tutte le bottiglie precedenti e ho scoperto che potrei solo tristemente ripetermi: non ne ho la voglia e nemmeno la forza. Potrei scrivere d’altro, verissimo, ma al momento sono troppo oppresso dal continuo, obbligatorio aggiornamento del numero dei morti e dallo scorrere impietoso e inutile dei giorni senza che ci si renda conto che non sono altri a morire. Siamo noi, tutti noi.